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Meduse di plastica al Bioparco di Roma per "Plasticocene", la mostra contro l'inquinamento degli oceani

  • Immagine del redattore:  Redazione La Capitale
    Redazione La Capitale
  • 8 giu
  • Tempo di lettura: 3 min

L'esposizione da domenica 8 giugno, Giornata Mondiale degli Oceani, a opera dell'artista e divulgatrice Elisabetta Milan

plasticocene bioparco di roma
"La famiglia di meduse aliene", una delle opere di Elisabetta Milan presenti alla mostra (Bioparco di Roma)

Una mostra sull' "era della plastica", il rinominato "Plasticocene", aprirà da domenica 8 giugno al Bioparco di Roma.


In occasione della Giornata Mondiale degli Oceani, il nuovo percorso unirà arte e scienza per informare e sensibilizzare al rispetto e alla salvaguardia dell'ambiente acquatico e marino.


La rassegna "Plasticocene": percorso e istallazioni

La rassegna, compresa nel costo del biglietto, è ideata e curata dall'artista divulgatrice Elisabetta Milan, con il supporto scientifico del WWF Area Marina Protetta di Miramare e allestita nella sala degli elefanti.


È costituita da installazioni artistiche accompagnate da pannelli informativi. Gli argomenti trattati spaziano dalla nascita della plastica, al suo riuso e riciclo, passando per la tropicalizzazione dei mari causata dai cambiamenti climatici, analizzando tematiche come la sovra-pesca e l'invasione delle specie aliene, con focus sull'inquinamento da plastiche e microplastiche.


«L'acqua è l'elemento principale del nostro pianeta», sottolinea la Presidente della Fondazione Bioparco di Roma, l'etologa Paola Palanza. «Gli oceani producono oltre il 50% dell'ossigeno che respiriamo, assorbono il 30% della anidride carbonica e rappresentano il principale serbatoio di biodiversità al mondo».


Una risorsa essenziale per l'ecosistema minacciata dalla nuova era della plastica: «L'inquinamento causato dalla plastica - conclude Palanza - minaccia l'habitat della fauna e della flora marina. Rischiamo di togliere il respiro a chi ce lo dà».


Il percorso artistico è composto da sei installazioni di forte impatto visivo. La "Canoa lignea sul mare di plastica" è costituita da una canoa in legno, realizzata da uno degli ultimi maestri d'ascia veneziani, che naviga su un mare costituito da cento bottiglioni d'acqua da 18 litri, rendendo così l'idea del movimento e dell'acqua. L'opera rappresenta l'invasione di macro-plastica di fiumi e mari, in cui però è possibile aprire un varco - la barca - verso una visione ecosostenibile del mondo.


"La famiglia di meduse aliene" è una installazione costituita da cinque meduse giganti realizzate con materiale plastico di recupero ritrovato sulle spiagge e non solo. Le meduse sono l'emblema dell'iniziativa perché simboleggiano il mare gelatinoso, reso tale dall'aumento della temperatura dovuto al cambiamento climatico, dallo scollegamento dei cicli planctonici e da uno squilibrato apporto idrico dei fiumi.


"Nautilus" invece è un bassorilievo in argilla del mollusco, con impressi i calchi di oggetti in plastica di uso quotidiano. Il Nautilus, oggi considerato un fossile vivente, è apparso sulla terra 500 milioni di anni fa. È evocativo di rinascita e speranza grazie alla sua forma, che potrebbe continuare all'infinito, e alla sua apertura. Si può immaginare che gli archeologi del futuro ritroveranno dei fossili costituiti da impronte futili e fugaci di svariati oggetti di plastica, spesso monouso, (forchette, ciabatte, bastoncini cotonati e così via).


Nell'istallazione "Non è solo acqua" viene rappresentato, in cerchi in plexiglas, l'ingrandimento al microscopio di una goccia d'acqua con lo straordinario mondo del plancton, invisibile a occhio nudo, ma che genera gran parte dell'ossigeno della terra.


"Mangiamo ciò che laviamo" è una creazione composta da una lavatrice rossa con un polpo gigante che esce dall'oblò realizzato con una rete di cento metri abbandonata, a simboleggiare la quantità di microfibre sintetiche che arrivano in mare dai lavaggi e che entrando nella catena alimentare dei pesci e dell'uomo stesso.


Infine, l'opera "Plasticocene" rappresenta un mare arrabbiato e informe, composto da una matassa di fili plastici azzurri su una base di cassette di polistirolo e di plastica; il tutto crea un effetto onda. Tra le increspature si trovano oggetti di plastica spiaggiati come pneumatici, scarponi da sci, flaconi, lamette ecc., alternati a coralli, conchiglie e stelle marine.


Al centro dell'opera è collocata un'urna cineraria in vetro dentro con all'interno una carta di credito dorata che rappresenta simbolicamente la quantità di plastica (5 gr) che ogni persona ingerisce mediamente in una settimana.


Il messaggio dell'artista

Per Elisabetta Milan «l'arte è uno strumento potente e privilegiato per sensibilizzare le persone al cambiamento: ciascuno di noi è una singola goccia d'acqua, ma tutti insieme possiamo formare un oceano di miglioramento».


Il messaggio dell'artista è infatti ottimista: «Il messaggio è rivolto ai futuri cittadini e cittadine del mondo, ed è un messaggio di speranza. Siamo ancora in tempo per invertire la rotta e la tendenza e far sì che nel 2050 non ci sia più plastica che pesci nei nostri mari», conclude Milan.

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