Un blitz a Gaeta per dire stop agli allevamenti di pesce [VIDEO]
- Edoardo Iacolucci
- 7 ago
- Tempo di lettura: 3 min
In Italia si moltiplicano infatti gli impianti di ingrasso del tonno rosso nel Mediterraneo, spinti dai finanziamenti europei per pesca e acquacoltura ma privi di valide regole e controlli. È quanto emerge dal nuovo report di Greenpeace

«L'acquacultura ha superato negli ultimi anni la produzione derivante dalla pesca, è un settore in enorme crescita ed è stato raggiunto il record mondiale di produzione di ben 140 milioni di tonnellate, rappresentato per lo più da animali allevati all'interno di gabbie». Così Valentina Di Miccoli di Greenpeace dopo un blitz contro un allevamento ittico di Gaeta, sulle coste del Lazio.
«La comunità europea - continua - definisce questo settore sostenibile ma effettivamente così mancano gli indicatori di sostenibilità. Per non parlare poi del benessere animale e di come sono trattati questi animali all'interno delle gabbie»
Inoltre, le deiezioni animali, l'uso massiccio di antibiotici e di altre sostanze «inquinano - precisa Di Miccoli - sia l'acqua che i fondali dove si trovano le gabbie con all'interno i pesci. Quello che noi pensiamo è che una transizione alimentare basata sempre di più su proteine vegetali e meno sull'uso di proteine animali possa essere una soluzione ai problemi derivanti da questa enorme industria»
Cresce il business del tonno rosso in Italia
In Italia si moltiplicano infatti gli impianti di ingrasso del tonno rosso nel Mediterraneo, spinti dai finanziamenti europei per pesca e acquacoltura ma privi di regole ambientali e controlli efficaci. È quanto emerge dal nuovo report di Greenpeace Italia, intitolato Corsa all’oro rosso, che avverte che senza trasparenza e sostenibilità il settore rischia di provocare un nuovo collasso della specie, già in passato vicina all’estinzione.
Negli ultimi anni la popolazione di tonno rosso ha mostrato segnali di ripresa grazie ai limiti internazionali sulla pesca e alle campagne degli ambientalisti. L’Italia, attratta dalla maggiore disponibilità di esemplari e dai fondi dell’Unione europea destinati agli allevamenti ittici, sta assistendo a una rapida espansione degli impianti di ingrasso, strutture che catturano tonni selvatici per farli crescere e ingrassare fino alla vendita sul mercato, soprattutto estero.
Greenpeace avverte però che il settore si sviluppa in un vuoto normativo: mancano regole ambientali, criteri per il benessere animale e meccanismi di trasparenza nella gestione dei finanziamenti pubblici. Senza correttivi, secondo l’associazione, il rischio di danni agli ecosistemi marini e di irregolarità nella gestione dei fondi europei è molto alto.
Allevamenti e gli impianti fantasma: il nodo trasparenza
L’indagine dell’Unità Investigativa di Greenpeace Italia mette in luce opacità e lacune nei controlli sugli allevamenti di tonno rosso nel nostro Paese. Secondo il database dell’International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas (Iccat) risultano attivi tredici impianti italiani di ingrasso, ma solo tre presentano coordinate geografiche note e in appena sei casi viene indicata la capacità produttiva.
Particolarmente significativo è il caso dei quattro impianti più grandi, che da soli coprono l’80% del tonno allevato in Italia con una produzione dichiarata di 7.525 tonnellate. Queste strutture risultano formalmente di proprietà del ministero dell’Agricoltura ma non operative, facendo sospettare la presenza di veri e propri “impianti fantasma”. Secondo Greenpeace, l’Italia potrebbe utilizzare il database ICCAT come un sistema di prenotazione di capacità produttiva futura da destinare a nuovi impianti, un meccanismo che contrasta con le finalità dell’organismo internazionale.
Gli interessi economici
Dietro la corsa all’oro rosso si muovono interessi economici significativi. FedAgriPesca da tempo promuove la creazione di una «rotta italiana del tonno rosso», mentre a fine 2024 è stato autorizzato un nuovo impianto di ingrasso a Battipaglia, in provincia di Salerno, affidato alla società Tuna Sud. L’azienda, secondo quanto riportato dall'associazione, non avrebbe dipendenti né fatturato e l’impianto sarebbe stato approvato senza alcuna valutazione di impatto ambientale.
Greenpeace chiede regole chiare per proteggere il tonno rosso
«Grazie ai limiti internazionali la popolazione di tonno rosso è tornata a rischio minimo dopo aver sfiorato l’estinzione - spiega Alessandro Giannì di Greenpeace Italia -. Ma senza regole chiare e trasparenza, i progressi potrebbero svanire. Il pericolo di un nuovo collasso della specie e di danni irreversibili agli ecosistemi è concreto».
Greenpeace invita il Governo a definire norme ambientali per gli impianti di ingrasso, a introdurre criteri di trasparenza nella gestione dei fondi europei e a garantire controlli efficaci per prevenire frodi e ridurre gli impatti sugli habitat marini. Solo una gestione sostenibile, conclude l’associazione, potrà evitare che pochi operatori privati si arricchiscano a spese dell’ecosistema del Mediterraneo.










