Mafia cinese, blitz anche a Roma per smantellare il sistema di riciclaggio invisibile dell'hawala
- Redazione La Capitale

- 4 ago
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Secondo Piantedosi, «la mafia cinese non è solo un fenomeno locale, ma una realtà criminale transnazionale capace di muovere miliardi e di infiltrarsi nel tessuto economico»

Manette, perquisizioni, numeri impressionanti e una rete criminale di origine cinese smantellata pezzo per pezzo. La polizia di Stato ha colpito duro, e l’ha fatto in tutta Italia, con una maxi operazione che ha visto impegnate le squadre mobili di ben 24 province, da Milano a Catania, Firenze, Bologna, Verona, Prato, Genova, passando anche per Roma.
Il risultato sono 13 persone arrestate e altre 31 denunciate, tutte accusate a vario titolo di reati come immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione e del lavoro, contraffazione di prodotti, spaccio di stupefacenti, riciclaggio e detenzione abusiva di armi. A questi numeri si aggiungono sanzioni per oltre 73mila euro, il sequestro di 22.825 euro in contanti e due attività commerciali sigillate dalle forze dell’ordine.
In totale, quasi 2mila persone sono state identificate, oltre 300 esercizi commerciali passati al setaccio. Un’azione «ad alto impatto», per usare le stesse parole del Viminale, che ha scoperchiato un sottobosco criminale silenzioso ma radicato, capace di muovere milioni con discrezione e ferocia.
Il volto sommerso della mafia cinese: il sistema dell'hawala
Le indagini hanno fatto emergere un sistema criminale ramificato, organizzato in clan spesso composti da membri della stessa famiglia. Come le mafie tradizionali, anche queste organizzazioni cinesi agivano con un mix di violenza e intimidazione, in particolare nei confronti di connazionali. Una giustizia parallela, governata da un codice non scritto fondato sul concetto di vendetta. Non a caso, alcuni episodi sono sfociati in vere e proprie faide.
Ma non solo estorsioni o sfruttamento. Al centro delle attenzioni investigative c’è l’hawala, un antico sistema di trasferimento informale di denaro, usato per spostare ingenti somme da un continente all’altro, fuori dai circuiti bancari. Uno strumento perfetto per i traffici illeciti e il riciclaggio. Ed è proprio grazie a questa rete opaca che il denaro delle attività criminali viaggiava indisturbato tra l’Italia, l’Asia e oltre.
Le parole di Piantedosi
A commentare l’operazione è stato il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che ha parlato di una «risposta netta» da parte dello Stato. Non solo per il blitz della Polizia, ma anche per l’azione parallela della Guardia di Finanza che, in un’indagine gemella, ha sequestrato 741 milioni di euro, chiuso 266 società cartiere e bloccato 400 conti correnti. Il tutto all’interno di un sistema di frode fiscale da 3,4 miliardi di euro, con 596 milioni di Iva evasa. Una rete criminale sofisticata, alimentata anche dalla complicità di professionisti e consulenti, attiva tra Marche, Lombardia e Piemonte.
Secondo Piantedosi, «la mafia cinese non è solo un fenomeno locale, ma una realtà criminale transnazionale capace di muovere miliardi e di infiltrarsi nel tessuto economico». E l’azione dello Stato, oggi, ha voluto essere un messaggio forte: «indagini di altissimo livello, professionalità e determinazione esemplari a tutela dei cittadini onesti e dell’economia sana del Paese».











